Dopo Brexit: intervista con Andrew Lilico

Brexit come un salto nel buio, un disastro incombente, una vendetta meschina dei “Little Englander” che non hanno compreso quanto sia galvanizzante sentirsi cittadini del mondo. Sono tutti giudizi che abbiamo sentito più volte, ma siamo sicuri che gli italiani, e gli europei in generale, abbiano veramente compreso di cosa si tratti?

Ho chiesto al dott. Andrew Lilico di illustrarci i rischi e le opportunità di un cambiamento così radicale.

Ho notato che gli italiani, non riuscendo a concepire un futuro al di fuori della Comunità Europea, tendono a generalizzare pensando che lo stesso valga per il Regno Unito. Come risponderebbe a questa obiezione?

Direi che innanzitutto l’Italia è stata uno dei paesi fondatori della Comunità Europea, e che in diversi modi la UE è stata fondamentale per lo sviluppo politico ed economico dell’Italia per diversi decenni, mentre il rapporto del Regno Unito con il progetto europeo è sempre stato all’insegna della diffidenza. Il Regno Unito non ne è entrato subito a far parte, rimandando a quando il progetto sembrava svilupparsi più dal punto di vista economico che politico, mostrando una certa resistenza quando la Comunità Europea è ritornata sul progetto originario di un’unione politica, con Maastricht, e non è entrata nell’Euro o in Schengen, né entreremo a far parte di altri progetti come una presidenza UE elettiva, o una guardia di frontiera europea, né intendiamo far parte di un esercito europeo. Non intendiamo insomma seguire la Comunità Europea su diversi punti, e questa non è una novità, è stato così per decenni. E in realtà questo significa che avendo scelto di non collaborare, è chiaro che la nostra presenza nella UE sarebbe stata a tempo determinato. Abbiamo certamente fatto cose fantastiche con la UE, siamo stati in grado di vincere l’ex Patto di Varsavia dimostrando di saper offrire un modello economico che non fosse basato sul comunismo o sul fascismo ai popoli dell’Europa, abbiamo assorbito i paesi postfascisti della penisola iberica e la Grecia post dittatura, l’Europa postcomunista, e questi sono tutti stati progetti fantastici, ci piace pensare di aver dato agli europei una filosofia economica fatta di dazi internazionali bassi, di liberalizzazioni di mercato, di competition policy, attraverso la Commissione Europea, tutti grandi progetti, ma era chiaro che tutto avrebbe avuto una vita limitata.

Direi quindi che è stato bene far parte della Comunità Europea, ma ora è tempo di andare avanti e fare qualcosa di diverso, e lo stesso vale per la Comunità Europea, senza che noi continuiamo ad esserle di impaccio con le nostre rimostranze.

Capisco, e quindi adesso cosa si profila all’orizzonte per il Regno Unito? Dopo una vittoria clamorosa del Partito Conservatore alle elezioni del 12 dicembre, sembra che finalmente Brexit possa diventare una realtà.

Adesso si spera di poter mettere da parte le aspre diatribe degli ultimi quattro anni e quindi si potrà uscire dall’Unione Europea, senza contare che abbiamo scongiurato la possibilità di un governo di quasi comunisti, il che è ugualmente importante, per poter finalmente inaugurare una nuova fase per il Regno Unito. Non sappiamo esattamente che cosa comporterà, dal momento che l’Unione Europea è stata per noi come la coperta di Linus per diversi decenni, non solo dal punto di vista economico, ci ha protetti costituzionalmente. In molti lamentano il ruolo delle corti europee su svariati aspetti, ma è stato un tipo di protezione importante per i singoli, è stata una partnership geopolitica che ha contribuito a definire il nostro ruolo globalmente, e in modo esponenziale dalla fine della Guerra Fredda. La NATO è stata più importante negli anni Ottanta, ma dalla fine della Guerra Fredda la nostra alleanza più importante è stata la Comunità Europea, e quindi è giunto il momento di pensare a soluzioni nuove. È ancora tutto da definire, ma non credo che vogliamo semplicemnte starcene per conto nostro, non penso che vorremo essere una nuova Svizzera, o Norvegia, o una nuova Singapore, penso che cercheremo nuovi partner con cui collaborare, come abbiamo fatto con l’Unione Europea, anche se non è ancora chiaro di chi si tratti. D’altra parte, abbiamo tergiversato per così tanto tempo sulla nostra uscita dalla UE, che nostri partner naturali adesso saranno demoralizzati.

Alcuni candidati sono ovvi, come il Canada, l’Australia e altri paesi vicini al Regno Unito, ma potrebbe anche trattarsi di altri paesi. Non penso invece che collaboreremo strettamente con gli Stati Uniti. Uno dei nostri problemi con la UE era le dimensioni dell’Eurozona in confronto alle nostre, quando invece collaborando con la Francia, la Germania o l’Italia ci si trovava ad aver a che fare con paesi di dimensioni grosso modo simili, contro cui si poteva vincere o perdere. Un’Eurozona più politicamente integrata avrebbe significato per noi esservi indisolubilmente legati, esserne dominati. Avrebbe vinto nelle votazioni, deciso le regole, e non avremmo potuto far altro che obbedire: nel caso degli Stati Uniti avremmo lo stesso tipo di relazione asimmetrica, sono fin troppo grandi perché il Regno Unito possa esercitare una qualsiasi influenza, dovremmo avere delle normative comuni e finiremmo col seguire gli Stati Uniti, e non penso che desideriamo lasciare una relazione asimmetrica per tuffarci immediatamente in un’altra, ma che vorremmo fare altro. Ho qualche idea, ma non è assolutamente detto che la soluzione che ho in mente funzionerà, tutto dev’essere ancora chiarito.

Una delle cose più interessanti da una prospettiva europea è il processo che sto per descrivere. Una delle tipiche creazioni della UE è quello che definiamo “ratchet process”[1]. Una volta concordate delle misure nuove e leggi in un determinato campo è molto difficile ritornare indietro, il che e la cosa migliore quando è chiaro che si tratti della soluzione migliore. Una volta tagliati dei dazi o eliminate altre stupide barriere bisognerebbe intraprendere una procedura fin troppo lunga per disfare tutto. L’ultima cosa che si vuole è che le forze reazionarie possano disfare tutto, una volta che gli effetti della nuova regolamentazione cominciano a farsi sentire.

Ora, una degli aspetti in cui il sistema politico britannico si distingue è permettere delle “inversioni a u”, permettendo di sperimentare: si prova qualcosa, si capisce che è una pessima idea, si torna indietro e magari si fa altro. La possibilità di sperimentare è insita nel nostro sistema, ed è un bene quando non è chiaro quale soluzione implementare. Quindi, se si intende regolamentare nel campo dell’intelligenza artificiale, delle autovetture autonome, o dello sfruttamento dello spazio a fini commerciali, o delle tecnologie verdi, ma anche delle dipendenze, o del vaping, quale sarà il sistema migliore? Quando non è ovvio, poter sperimentare è un vantaggio. Credo che all’interno dell’Unione Europea abbiamo già introdotto i cambiamenti necessari più immediati: una volta che i dazi sono scesi dal dieci a sotto l’un percento, e una volta eliminate tutte le barriere non tariffarie, non resta da fare molto altro. La UE è già arrivata a un punto in cui è difficile progredire nel mercato unico digitale.

Nel futuro del Regno Unito, le sfide a livello di regulation non sono nelle aree sopracitate, ma nelle nuove tecnologie, sul come si produrrà la carne in laboratorio, la manipolazione genetica delle specie, e così via. Sperimentando in questi campi, contribuiremo a sviluppare migliori pratiche internazionali e la UE riconoscendo che è un sistema migliore rispetto a quello degli Stati Uniti o di altri vorrà copiare il nostro modello. Credo quindi che sarà un altro vantaggio, oltre a privare la UE della zavorra di un paese che si lamenta di ogni cosa, creeremo anche un nuovo modello di sperimentazione da cui l’Unione Europea potrà imparare.

Da alcuni suoi articoli mi sembri un sostenitore del progetto CANZUK. Hai detto che non sai se funzionerà, ma se dovesse, quali sarebbero i vantaggi?

Il CANZUK è il progetto di una nuova partnership geopolitica tra Canada, Australia, Nuova Zelanda e Regno Unito. Uno dei vantaggi principali per il Regno Unito è che troviamo questi paesi propensi a collaborare, molto simili a noi in termini di scala ma anche di valori, e pensiamo che collaborando riusciremmo a realizzare di più assieme che non individualmente. Collaborare all’interno dell’Unione Europea ha avuto I suoi vantaggi per molti decenni, ma in fondo c’era fin troppa differenza tra i nostri usi, le nostre tradizioni e la nostra impostazione costituzionale perché’ compissimo gli ultimi passi verso una maggiore integrazione politica nell’Unione Europea. Tra l’altro, I paesi UE tendono ad essere più diversi tra di loro di quanto non lo siano i paesi CANZUK, il che vuol dire che per raggiungere l’integrazione bisogna per forza forzare la mano, e uniformare quello che naturalmente non sarebbe uniforme. Nell’area CANZUK non dovremmo uniformare a forza, perché’ si parte da un background simile, e anche qualora ce ne fosse bisogno, il costo sarebbe inferiore, perché’ siamo paesi costituzionalmente simili e basati sul common law. Inoltre, credo che i paesi CANZUK condividono alcuni interessi globali piuttosto che regionali, e un interesse particolare nel campo dei media, o dei i viaggi spaziali. Esistono diversi modi in cui possono desiderare di operare globalmente e di presentare al mondo un volto comune, e queste cose possono essere importanti al pari del modo in cui si pongono in relazione gli uni agli altri, ma probabilmente è diverso rispetto alla Comunità Europea, che si focalizza soprattutto al suo assetto interno. Altra cosa da aggiungere è che ciascuno di questi paesi rischia di essere dominato da un paese più potente nella rispettiva regione: cosi, il Canada rischia di essere dominato dagli Stati Uniti, il Regno Unito dall’Eurozona e l’Australia dalla Cina, ma collaborando raggiungerebbero uno status che permetterebbe loro di affrontare le diverse sfide regionali forse non come eguali assoluti, ma perlomeno come pari. Altra cosa da aggiungere è che il mondo sta procedendo nella direzione di blocchi di potere regionali, sia per quanto riguarda il commercio, sia per quanto riguarda gli accordi geopolitici.

Per fare un’analogia, quando ero piccolo giocavamo con dei fogli di feltro da cui ritagliare delle figure di animali. Credo che ci sia spazio nel mondo per un giocatore che rappresenta un po’ il feltro rimasto una volta tagliate le figure, non i blocchi di potenze regionali in se stesse, ma un trait d’union che le colleghi tutte in un certo modo.

Mi sembra che il Canzuk sia il candidato ideale, forse in futuro potrà aggiungersi Singapore, alcuni dei paesi caraibici più benestanti, ma cominciamo dal nucleo di base, una collaborazione con cui raggiungere un tipo di partnership geopolitica su diverse aree di policy, iniziando da un accordo di libero scambio, probabilmente un accordo di libera circolazione, una partnership in materia di sicurezza, con un focus diverso rispetto alla UE. Non ci sarà infatti un equivalente del trattato EURATOM, o accordi specifici su carbone e acciaio, o una politica agricola comune, quindi ci saranno alcune differenze rispetto alla Comunità Europea, pur mantenendo lo stesso principio del cominciare con alcuni progetti comuni per poi aumentare nel corso del tempo. Credo che a tempo debito i paesi CANZUK si troveranno a loro agio nel collaborare nei campi più disparati. Un’ultima cosa, penso che pensare al Canzuk nel modo corretto non sia “si lascia la comunità Europea per formare il CANZUK”, ma piuttosto, lasciando la UE sorge la domanda di che cosa faremo, e il CANZUK è la risposta più naturale.

 Capisco, quindi si tratta proprio di qualcosa di nuovo, di una nuova idea, non come si dice spesso in Italia “il sogno dell’Impero Britannico”.

Certo, gli imperi tendono a essere dominanti e asimmetrici, con un componente potente circondato da paesi satellite. Per quanto riguarda il Canzuk, Canada e Australia hanno un PIL pro capite più elevato rispetto al Regno Unito. Si tratta di paesi più ricchi e geograficamente più grandi. La popolazione complessiva di Canada, Australia e Nuova Zelanda è grosso modo la stessa del Regno Unito. Si capisce quindi che è improbabile che possiamo dominare questa nuova entità geopolitica. Si parte mettendo assieme persone con tradizioni simili e con una storia simile, ma nei paesi CANZUK esistono anche gruppi che si sono integrati nel corso di secoli e altri che si sono integrati in tempi più recenti. Ad esempio, un 30% della popolazione neozelandese è di origine extra europea, molto più di qualsiasi paese UE. Il Regno Unito e il Canada d’altro canto sono molto simili come mix di popolazioni, ma in alcune zone il Canada ospita una concentrazione diversa di extra europei. Ad esempio, 30% della popolazione di Vancouver è di origine cinese (“Hongkouver”), mentre l’Australia presenta una concentrazione minore, per quanto sempre consistente, di immigrati dall’estremo Oriente e dal Sud Est asiatico. Ovviamente contano anche l’affinità naturale, le tradizioni e gli usi e costumi. L’Australia ad esempio ospita lo stesso numero di britannici della UE. È uno dei paesi infatti che il Regno Unito guarda in modo diverso rispetto ad altri.

Sono stati fatti dei sondaggi sui paesi considerati in modo particolarmente favorevole, da cui risulta che i paesi europei continentali più affini sarebbero Paesi Bassi e Svezia, con un 20-23% delle preferenze: gli Stati Uniti arrivano invece al 30%, mentre Canada, Australia e Nuova Zelanda arrivano a quasi il 50%. La realtà è che questi paesi non sono considerati totalmente stranieri. E’ una questione di gradazione, non consideriamo l’Isola di Man e Guernsey come straniere, le Falkland e Gibilterra leggermente più distanti ma non così tanto, e poi Australia, Nuova Zelanda e Canada un po’ più distanti ancora. Quel senso di essere parte di noi ci consente di sviluppare un’affinità immediata, che rende naturale la collaborazione. Il che significa che incontrare un australiano è diverso da incontrare un americano, o un francese, per non parlare di qualcuno proveniente da una cultura ancora più distante, come la Cina. C’è quindi quel senso di familiarità che rende le relazioni, commerciali e non, più facili. Del resto, tutti i paesi si rapportano meglio con alcuni rispetto che con altri, e a volte anzi non si va molto d’accordo con chi dovrebbe essere più affine, e a volte succede il contrario, come nel caso di Canada, Australia e Nuova Zelanda.

C’è qualcosa che vuole dire agli italiani, per rassicurarli?

Gli italiani hanno vissuto nel Regno Unito per diversi decenni, e alcuni cliché come gli “spaghetti bolognese” e “macaroni cheese” sono anteriori all’Unione Europea.

Esistono una serie di paesi in Europa occidentale – Francia, Paesi Bassi, Spagna, Italia, Belgio – che hanno conosciuto secoli di relazioni e cooperazione, che mi aspetto continueranno.

Gli italiani godono di una certa reputazione nel Regno Unito, cosi come i britannici in Italia, ed esistono stereotipi e cliché per gli uni e gli altri, piacevoli o meno, e questo non dipende necessariamente dalla Comunità Europea.

Ma certamente possiamo dire che gli anni trascorsi all’interno dell’UE hanno creato una collaborazione di tipo diverso, e quindi è normale una certa amarezza per la perdita’ di profondità nella relazione con i nostri partner europei, non possiamo far finta di ignorarlo. Mi aspetto quindi che gli italiani guarderanno meno a noi e più ai francesi e ai tedeschi.

È tutta una questione di gradazione, e quindi Italia, Francia e Germania e gli altri partner europei troveranno il loro modo di procedere, mentre la UE, Europa, o come vorrà chiamarsi lo stato europeo unico, troverà il suo modo di relazionarsi con il Regno Unito. È così che va il mondo.


[1] N.d.T. L’ espressione rimanda a “ratchet effect”, ovvero, la limitata reversibilità di processi già avviati. L’analogia è con la ruota dentata dell’ingranaggio degli orologi.

Il dott. Andrew Lilico e’ Direttore Esecutivo e titolare di Europe Economics, una società di consulenza specializzata in regolamentazioni economiche, competition policy e applicazione dell’economia alla questioni di policy pubblica e aziendale. E’ Fellow dell’Institute of Economic Affairs e Presidente della IEA/Sunday Times Monetary Policy Committee. Collabora con diverse testate britanniche e internazionali nel settore economico e finanziario.

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Moving on after Brexit: interview with Dr Andrew Lilico